CHICKEN STORY
Testo critico di Piero Racanicchi


Pino Dal Gal si afferma, come fotografo, nel clima di quella cultura d'immagine che negli anni '60 porta avanti le istanze di un nuovo e profondo rinnovamento della fotografia italiana. La sua particolare sensibilità, lo porta presto a contatto con le tematiche del "neorealismo", che ormai influenzano letteratura e cinema, da Vittorini a Pasolini, da Antonioni a Visconti.

In questo clima, in questo contesto, Pino Dal Gal trova subito una sua precisa linea operativa, lontana sia dagli schemi del giornalismo descrittivo di cronaca, sia dai parametri morfologici del post-pittorialismo. Per lui il reale, allontanato dalla tradizione della convenzione estetica, appare come una dimensione da reinterpretare: da porre all'interno di un progetto di scrittura che concepisca la fotografia come mezzo espressivo autarchico e non soltanto come icona descrittiva. Forte di questa convinzione Dal Gal ha sempre portato avanti con coerenza e costanza la sua personalissima ricerca. Da "Cimitero d'auto" del 1965, questo autore ha messo in campo, con una progressione esemplare sotto l'aspetto tematico e linguistico, un repertorio di materiali e di argomenti con i quali esplora i percorsi del suo cammino che diventa personalissimo e accattivante quando i segni del reale sconfinano nei territori del metafisico (Wally, 1971 - Miguel Berrocal, 1972 - Alberi, 1976).

Con attenzione e coerenza Dal Gal allontana la sua prosa dalle lusinghe letterarie del racconto. E quando punta il mirino della indagine sugli elementi della realtà esplorata, circoscrive gli oggetti e li scorpora dal contesto; ne rende improbabile l'ambito di appartenenza; separa le indagini del reale dal loro significato ambiguo, scende per linee essenziali e dirette all'interno di una storia, che diventa la "sua" storia; e dialoga con gli oggetti o i personaggi di questa storia, usando codici di scrittura che evidenziano sistemi e tracce di una realtà sicuramente reinterpretata, mai riprodotta.

Le opere di Dal Gal passano infatti vicino all'idea di foto-documento, ma subito la scartano, perché preferiscono scandagliare i confini che da sempre contrappongono il mestiere di scrivere agli schemi della rappresentazione. In questo senso, Chicken Story (1976) è opera emblematica ed esemplare. In queste immagini, anche i colori - bianchi, neri, rossi - diventano elementi di un balletto macabro e spietato in cui non vi è mai indugio moralistico, ma piuttosto l'impatto - violento - con i ritmi e la coreografia di un rituale pagano, imposto dalle convenzioni della società post-moderna.

Con Chicken Story, opera della maturità, Pino Dal Gal lancia una sfida all'idea di "story", allontanando la sua prosa dalle lusinghe pedagogiche o letterarie del racconto. Senza vestire i panni dello obiettore di coscienza, l'autore volta infatti le spalle all'arte di convenienza, si allontana dal branco, e descrive a modo suo il rapporto d'amore che lo lega al mondo degli umani, mettendo in scena la liturgia di una società che annulla se stessa attraverso le azioni del vivere quotidiano. Nel solco profondo aperto da queste immagini, intessendo trame di quotidiano stupore e di angoscia, Pino Dal Gal afferma nuovamente la sua capacità di essere - come autore - padrone e artefice dell'evento rappresentato.


CHICKEN STORY
A critical excerpt by Piero Racanicchi


Pino Dal Gal made his name as a photographer in the sixties when the culture of image laid claims to new, deep-rooted changes in Italian photography. His sensitivity soon brought him to the themes of “neorealism” which were influencing literature and cinema, from Vittorini to Pasolini, from Antonioni to Visconti.

In this atmosphere and background Pino Dal Gal immediately found a clear direction for his work, far from the descriptive journalism of reporting and morphological parameters of post-pictorialism. Driven from the tradition of aesthetic convention, for him reality appears as a dimension to re-interpret, to be placed within a written project which sees photography as an autarchic means of expression and not merely as a descriptive icon. Firm in this belief, Dal Gal has always consistently and constantly upheld his extremely personal approach. From “Cimitero d’auto” (Car cemetery) in 1965 onwards he has produced, with an exemplary progression of subjects and language, a repertoire of material and subject matter with which to explore the paths of a quest which becomes so personal and intriguing when reality trespasses into metaphysics (Wally, 1971 - Miguel Berrocal, 1972 – Alberi, 1976).

With attention and coherence Dal Gal removes his prose from the literary allurement of stories. And when he focuses his study on elements of explored reality, he circumscribes the objects and takes them out of their context, making their original provenience improbable. He separates reality from its ambiguous meaning, essentially and directly getting to the heart of a story and in this way making it his story too. He converses with the objects or characters of the story using codes which bring to light systems and traces of a reality which has certainly been reinterpreted but never reproduced.

Dal Gal’s works are close to the idea of photographic documentary, but they immediately discard this idea because they prefer to probe the boundaries which have always set the art of writing against the intention of representation. Chicken Story (1976) is an emblematic and exemplary example of this. In these photos, also the colours – white, black, red – become elements of a macabre, ruthless dance where there is no room to dwell on moralism, but rather there is a violent impact, with the rhythm and choreography of a pagan ritual, dictated by the conventions of post-modern society.

With Chicken Story, the work of a mature artist, Pino Dal Gal challenges the idea of story, removing his prose from the pedagogical or literary allurement of the story. Without playing the role of conscientious objector, the artist turns his back on “convenient” art, moving away from the pack, interpreting the love which binds him to the world of human beings, illustrating the liturgy of a society destroying itself by day-to-day actions. Everyday wonder and anxiety are intertwined in the deep gash opened by these images and Pino Dal Gal once again confirms his ability to be – as an artist – both master and author of the event represented.